Aristotele, La felicità come sommo bene umano, (Etica Nicomachea, I 6, 1097b-1098a; 11, 1100b-1101a), Aristotele, Etica Nicomachea, trad. it. a cura di Carlo Natali, Laterza, Roma-Bari, 1999, I 6, 1097b-1098a; 11, 1100b-1101a
Nel corso del I libro dell’Etica Nicomachea, Aristotele si domanda più volte che cosa sia il sommo bene per l’uomo e, dopo avere riconosciuto che tutti sono concordi nel chiamarlo “felicità”, lo definisce come l’“opera propria” (in greco érgon) dell’essere umano, cioè l’attività dell’anima razionale secondo virtù – o secondo la virtù migliore e più perfetta –, esercitata in una vita completa, con l’aggiunta di una quantità sufficiente di “beni esterni”.Sommo Bene = Felicità?6. Ma, tutto considerato, appare chiaro che dire: “il sommo bene è la felicità” è una cosa su cui tutti sono d’accordo: ciò di cui si sente il bisogno è che si dica in modo ancora più chiaro che cos’è. L’opera propria dell’uomoOra, ciò potrà avvenire, forse, se si coglierà qual è l’agire tipico dell’uomo. Infatti, come per un flautista, per uno scultore, per ogni artigiano, e in generale per coloro che hanno un proprio operare o agire, il bene e il successo sembrano consistere nell’opera stessa, così si può credere che ciò valga anche per l’uomo, se è vero che anche l’uomo ha un qualche operare suo proprio. Ma è dunque possibile che vi siano opere e attività proprie di un falegname e di un calzolaio, e dell’uomo non ve ne sia nessuna, ed egli sia inattivo per natura? O: proprio come appare evidente che dell’occhio, della mano, del piede e, più in generale, di ciascuna delle parti del corpo vi è evidentemente un operare tipico, così anche per l’uomo si può porre una qualche opera propria, al di là di tutte quelle particolari? L’attività dell’anima razionale…E quale mai potrà essere, allora? È evidente che il semplice vivere è comune anche alle piante, e che quello che si cerca è qualcosa di specifico. Bisognerà dunque escludere anche la vita consistente nel nutrirsi e nel crescere; dopo di questa viene un certo tipo di vita fatta di sensazioni, ma è evidente che anch’essa è comune sia al cavallo che al bue e a tutti gli animali. Allora rimane solo un certo tipo di vita attiva, propria della parte razionale. Di quest’ultima, una parte è razionale perché obbedisce alla ragione, un’altra è razionale perché la possiede e riflette. Ma siccome anche quest’altra si dice in due modi, bisognerà porre che sia quella in atto, dato che essa sembra essere detta ‘razionale’ in senso più appropriato. … secondo virtù…Se l’opera propria dell’uomo è l’attività dell’anima secondo ragione, o non senza ragione, e se diciamo che, quanto al genere, sono identiche l’opera propria di una certa cosa e l’opera della versione eccellente di quella stessa cosa – come avviene ad esempio nel caso di un citarista e di un citarista eccellente – ciò vale in generale per tutti i casi, quando si aggiunga all’operare quel di più dato dalla virtù, infatti è proprio del citarista suonare la cetra, e del citarista eccellente suonarla bene; se è così, poniamo che l’operare proprio dell’uomo sia un certo tipo di vita, la quale consiste in un’attività dell’anima e in un agire razionale, che ciò vale anche per un uomo eccellente, ma in modo buono e nobile, e che ogni singola cosa raggiunge il bene in modo completo secondo la virtù sua propria; se è vero tutto ciò, il bene umano risulta essere attività dell’anima secondo virtù, e se le virtù sono più d’una, secondo la migliore e la più perfetta. … in una vita completaE inoltre, in una vita completa: infatti, come una rondine non fa primavera, né la fa un solo giorno di sole, così un solo giorno, o un breve spazio di tempo, non fanno felice e beato nessuno. 11. E se, come abbiamo detto, le attività sono l’elemento dominante della vita, nessun uomo beato potrà diventare misero: infatti non compirà mai azioni odiose e ignobili. Noi riteniamo che l’uomo veramente buono e saggio saprà sopportare in modo decoroso tutti gli eventi della sorte, e saprà sempre compiere le azioni più belle, sfruttando la situazione data, proprio come un buon comandante sa servisrsi dell’esercito che si trova a disposizione nel modo più efficace per la vittoria, un calzolaio sa fare bellissime scarpe con il cuoio che gli viene dato, e lo stesso vale per tutti gli altri artigiani. Se le cose stanno così, l’uomo felice non diventerà mai misero, ma nemmeno beato, se cadrà in sventure degne di quelle di Priamo.In questo modo non sarà un uomo troppo duttile, né volubile, né perderà facilmente il suo stato di felicità, nemmeno a causa di disgrazie; ma lo perderà se le disgrazie saranno grandi e numerose, tanto che dallo stato in cui sarà caduto non potrà risollevarsi in breve tempo fino allo stato di felicità; e se pure lo potrà, ciò avverrà dopo un grande periodo di tempo e una fase della vita nella quale sia diventato un vincitore e abbia avuto grandi e bei successi.Cosa ci impedisce, allora, di dire felice colui che agisce secondo virtù completa ed è provvisto a sufficienza di beni esterni, non in un qualsiasi periodo di tempo, ma in una vita completa?